
Bonachela firma una coreografia sulla fragilità dell’essere
La danza dell’impermanenza – Al 68° Festival dei Due Mondi di Spoleto, il 28 e 29 giugno 2025, il Teatro Romano ha ospitato Impermanence, creazione coreografica di Rafael Bonachela per la Sydney Dance Company, accompagnata dalla musica originale di Bryce Dessner eseguita dal vivo. Un’opera che interroga, attraverso il linguaggio del corpo, la natura transitoria dell’esistenza, l’effimera sostanza del vivere e la bellezza che scaturisce dalla vulnerabilità.
La scena si apre su una tensione che è al tempo stesso estetica e filosofica: la danza esplora la precarietà come condizione essenziale della vita, non in chiave nichilista, ma come terreno fertile per un’etica rigenerata. Il movimento dei corpi – a tratti acrobatico, a tratti intimo – diventa riflessione fisica sull’inevitabilità del cambiamento, sulla fine che attraversa ogni cosa. E proprio da questa consapevolezza nasce la forza della creazione: l’urgenza del momento presente, la potenza espressiva del tempo che fugge.
La composizione di Dessner, basata su una trama di archi suonati dal vivo, accompagna e sostiene la coreografia con ritmo pulsante e sensibilità evocativa. Non è semplice accompagnamento, ma parte integrante dell’azione scenica: gli archi diventano essi stessi corpi danzanti, partecipi dell’alchimia scenica. L’intreccio fra suono e movimento si fa racconto sensoriale, evocando immagini che si dissolvono e si riformano, come in un eterno ciclo.
La danza dell’impermanenza
Bonachela costruisce un lessico coreografico che privilegia la fisicità intensa, fatta di corpi che si attraggono e si respingono, che si cercano e si perdono. L’ensemble della Sydney Dance Company dà forma a una materia viva, in costante mutazione, dove ogni gesto è intriso di significato. Il dinamismo incessante del gruppo, che si contrae e si espande come un respiro collettivo, rimanda a un’umanità in cerca di equilibrio, segnata da smarrimenti e ritorni.
L’alternanza tra slanci vorticosi e sospensioni poetiche rende il racconto coreografico un’esperienza ipnotica. Nei rallentamenti finali, il moto dei danzatori acquista una qualità meditativa: il tempo sembra dilatarsi, quasi a trattenere il senso profondo di ciò che sta per svanire. È in questi momenti che la danza raggiunge il suo culmine espressivo, dando voce a un sentire condiviso, a una vulnerabilità che accomuna ogni individuo.
La danza dell’impermanenza
La fragilità evocata da Bonachela non è debolezza, ma possibilità di rigenerazione. Nell’accettare la propria caducità, l’uomo può riscoprirsi parte di un tutto, connesso alla natura e agli altri esseri. L’opera si fa quindi monito e auspicio: un invito a vivere con consapevolezza ogni istante, a riconoscere nell’impermanenza una fonte di energia e significato.
Nel Teatro Romano, le rovine antiche hanno accolto una danza del presente, ma rivolta al futuro. In quel luogo carico di memoria, i corpi in scena hanno tracciato una mappa emotiva dell’umano, sospesa tra luce e ombra, tra bellezza e perdita. E nel fluire di quella danza, si è rivelata la condizione che ci accomuna: siamo fragili, siamo impermanenti. Ma siamo anche qui.
Commenta per primo