Ospedale di Spoleto: ci siamo già passati in Valnerina, Integrazione = Smembramento

Alla luce delle recenti esperienze su altri territori della pur piccola Umbria, è pericoloso e preoccupante per gli interessi delle singole comunità parlare di “integrazione” tra gli ospedali di Spoleto e Foligno per “evitare che i due presidi si facciano concorrenza”, nonché affermare con maliziosa non-chalance che “non è il numero dei primari a garantire la salute dei cittadini”. E’ il classico esercizio linguistico della nomenclatura di partito per tenere buoni gli animi dei cittadini che a ben ragione cominciano ad avere qualche dubbio sul futuro dei loro nosocomi.

Gli umbri, e in particolare coloro che vivono nelle piccole città, ben sanno, infatti, che a proposito di ospedali regionali la storiella dell’integrazione e dell’evitare i doppioni è già andata in scena in diverse località tra loro confinanti con risultati oggi sotto gli occhi di tutti: gli ospedali non sono più tali, trasformati di fatto in residenze protette che in certi casi e in certi periodi sembrano vere e proprie case di riposo (con tutto il rispetto per queste ultime).

In Valnerina, solo per citare l’esempio più vicino alle realtà di Spoleto e Foligno, la manfrina dell’integrazione tra gli ospedali di Norcia e Cascia “per evitare doppioni e migliorare i servizi ai cittadini” è andata avanti per anni con la scusa che di due ospedali se ne sarebbe fatto uno “ma fatto bene”. Le preoccupazioni e le relative battaglie delle popolazioni locali non sono mancate, ma al sistema rosso che tutto controlla e tutto può (almeno ancora per qualche settimana) nulla è importato e oggi dei due ospedali resta davvero ben poco. Il pronto soccorso di Norcia è un primo soccorso; la medicina è diventata geriatria; la chirurgia è punto di eccellenza ma solo per una singola specificità: la chirurgia venosa e gli innesti cutanei.

Persino il laboratorio analisi di fatto è stato chiuso: tutto si fa a Foligno. L’ospedale di Spoleto è una struttura essenziale, indispensabile e irrinunciabile nell’organizzazione sanitaria regionale, non soltanto per le sue eccellenze professionali e strutturali ma anche e soprattutto perché regge il peso sociale di aree demografiche afflitte da innumerevoli difficoltà che non possono essere private di una struttura di riferimento come il “San Matteo degli Infermi” con tutte le attività in esso oggi presenti.

Il rischio reale sarebbe quello di dare ulteriore spinta all’abbandono demografico che già caratterizza i territori di montagna e i più piccoli centri. Il problema dei costi e delle risorse economiche che non ci sono va risolto in primo luogo con la riorganizzazione e la razionalizzazione degli acquisti in campo sanitario e in seconda istanza con un nuovo modo di individuazione degli apicali, non più basato sull’appartenenza politica ma sulla professionalità sanitaria e manageriale da verificare attraverso procedure concorsuali.

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